…LASCIARE CIÒ CHE SI AMA
…LASCIARE CIÒ CHE SI AMA
Perché è così difficile liberarsi da una dipendenza patologica? Liberarsi dall’eroina, dalla cocaina, dall’alcol, da un uomo che “amiamo” troppo, da una donna che ci fa impazzire, da una apparente insignificante sigaretta?
Perché non riusciamo a liberarci di un “oggetto” che ha vissuto a stretto contatto con noi, che ha vissuto “dentro” di noi per un lungo periodo di tempo? Essere lasciato da qualcosa o da qualcuno è meno doloroso che prendere una decisione rispetto a lasciare qualcosa o qualcuno/a che si “ama profondamente”.
Sapere che lei, lui, o “la cosa”, sta lì a portata di mano e basta un niente per far sì che rientri nella nostra vita e sopperisca a quella dolorosa mancanza, a quel lutto apparentemente senza fondo, è dannatamente difficile.
Diventa una impresa ardua, quasi impossibile. Un pensiero diventa granitico: come farò a sopravvivere senza di lei?
La decisione, la forza, la volontà, la vita che ci dovrebbe spingere verso la vita e non verso “la cosa” è un flebile battito da cui ripartire, è come respirare in un ambiente piccolissimo dove c’è poca aria e non sai se riuscirai a sopravvivere con quel poco, pochissimo di ossigeno. Ma perché ci sentiamo così? Perché stiamo così male quando muore qualcuno, quando un amore ci lascia? e perché se pur sapendo che quell’amore ci fa male stiamo ancora peggio nel lasciarlo andar via?
È così difficile perché decidere di lasciare un amore che si ama non è come essere lasciati da un amore che non ci ama più.
Se è difficile sopravvivere ad un amore che ci abbandona, lasciare, allontanarsi da un qualcosa o da un qualcuno dove il peso della decisione spetta a noi diventa un’impresa quasi impossibile.
Diventa impossibile lasciare andare “la cosa” sapendo che si porterà con se il “nostro senso della vita”, l’energia di quella vitalità che avevamo un tempo, l’aria che respiravamo, la possibilità dell’unione dell’uno, che si porterà con sé il mondo, perché quello che resterà saranno solo cocci, frantumi, pezzetti di carne sparpagliati senza senso e senza vita, da raccogliere e cercare di mettere insieme, pensando che sia stata la scelta migliore che uno possa aver partorito; abbandonare tutto ciò che “nutriva”la mia esistenza basandomi solo sul fatto che senza starò meglio. Starò. Starò? Starò!!!
Questi sono gli “amori” che bruciano, che bruciano la vita, che bruciano la vita fino alla morte.
Sono l’illusione marcia dell’altra metà platonica, sono il cibo che alimenta l’anoressica, sono le abbuffate bulimiche che portano al vomito della vita.
Ogni separazione, piccola o grande che sia, implica un lutto, un lavoro altamente impegnativo. È come salire da un precipizio solo con la forza delle mani, aggrappandosi alle piccole sporgenze della parete, con la forza delle tue mani e dell’incontro con “altre mani” che il mondo ti offre.
Ci vuole un tempo di lavoro lungo e doloroso. Non esiste una scalata rapida del precipizio. Questo lavoro è particolarmente doloroso perché la cosa amata si è portata via buona parte di noi, facendoci sentire completamente svuotati di energia e di vita. Solo la salita della parete e lo sforzo di tenerci aggrappati all’altro ci porterà a distanziarci sempre di più dal fondo del precipito. La missione è scalare il piano verticale della parete per arrivare al piano orizzontale della terra e ritrovare il fiato, il respiro, il battito del cuore che ci mancava. La forza che abbiamo sviluppato nella salita sarà la forza che ci salverà dalla “cosa”, perché attraverso lo sforzo dell’elaborazione del lutto è possibile recuperare quell’energia vitale che ci era stata portata via.
In questa salita fatta di sudore e di dolore esiste un frammento di luce, una sporgenza divina, un segreto nascosto; esiste la conoscenza di noi stessi, la risposta alle nostre scelte.
Esiste la pulsione vera della vita e la spinta di un desiderio di apertura al mondo per ricominciare a vivere di nuovo.
Ufficio Stampa Insieme (Domenico Maggi)
Trackback dal tuo sito.